Quella volta che….i semi di pino

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Autunno 1994, Città del Messico. Ci siamo appena trasferiti in questa grande città e non vado ancora a scuola, stiamo aspettando che a giorni arrivi il container con i mobili.
Abitiamo in un residence stile abbastanza messicano, con dei divani di lana pelosa e delle foto sulle brochure di manichini in asciugamano che ancora mi viene da ridere.
Di solito, nei nostri numerosi traslochi internazionali, dopo pochi giorni in hotel ci spostavamo in residence con cucina per il semplice fatto che mio padre “bella la vita in hotel, ma io voglio mangiare la pasta”.

Siccome mia madre è tanto brava a cucinare e la cucina italiana nel mondo spopola, ecco che a pochi giorni dall’arrivo, anziché prendere le misure con la nuova città, mia mamma si ritrova a spadellare per i colleghi di mio padre. E se non ti basta la cucina, che problema c’é, ti mettiamo a disposizione anche casa, ahorita ahorita, così puoi cucinare meglio. Certo, bella la vita della moglie expat, vero mamma?

Mentre la vita in residence diventa pallosa, penso al container con i mobili che non era ancora arrivato. Già pensavo a come organizzare l’arrivo e lo smistamento degli scatoloni. Chissà in quale cassa erano tutti quei lucchetti e i coltellini svizzeri che mi piacevano tanto. O il Topokit, quella sorta di survival kit trovato durante l’estate su Topolino, che comprendeva una serie di cose da giovani marmotte, tra cui un contenitore a tenuta stagna?

Qualche giorno dopo, cocktail con gli italiani a cui potevamo partecipare noi bambini. Mio padre parla con qualcuno dell’Ambasciata e spiega che il container è quasi arrivato a Veracruz. Finalmente potrà riabbracciare i pacchi di pasta, le orecchiette sotto vuoto e il pomì. Si inizia a parlare della difficoltà di riempire gli scatoloni dall’Italia, talmente tante sono le cose vietate in Messico che se ti beccano allo sdoganamento sei fregato…come quello che cercava di importare dei semi di piante.

Oddio. Deglutisco a fatica il dattero ripieno di roquefort, giuro che non lo mangerò più, anzi, devo mandare un fax a Rebecca a Caracas per segnalare l’accaduto, quella cucaracha non si deve mangiare.
Alzo la mano, come a scuola, nessuno mi fa parlare. Avevo una cosa importante da dire. E se mi dovevano arrestare, tanto vale farlo lì, subito, con l’Ambasciatore e il Console presente. Già mi vedevo in una cella messicana. O, peggio, mio padre, per non aver supervisionato paranoicamente l’imballaggio degli scatoloni.

Sono troppo onesta e devo dire la verità. Abbiamo già rischiato er gabbio giorni fa quando ci hanno dato 3 bandana per sbaglio e ne abbiamo pagate solo due. Mia mamma mi lancia un’occhiataccia e spara uno “zitta” a ultrasuoni che sente tutta la sala. Devo dirlo. Ok, me ne frego, lo dico. “Papà, nel Topokit ci sono dei semi di pino. È un piccolo sacchettino ma…oddio, sono vietati, non lo sapevo.” Panico.

Anziché rassicurarmi sul mio futuro che già vedevo proiettato in qualche scantinato di prigione messicana, tutti gli italiani iniziano a prendermi in giro. Dicono che il nostro container sarà riconoscibile dal pino che sarà nato grazie alle piogge e all’umidità dell’oceano e che per me non ci sarà nulla da fare. Detto da diplomatici, poi, paura.

Ho passato una settimana in pena, ho ripensato mille volte alla costruzione del Topokit. I semi di pino potevano essere solo nel contenitore a tenuta stagna, e non sarebbe mai potuto nascere un pino in un container.
Per i traslochi successivi, ma anche per le valige che hanno percorso migliaia e migliaia di chilometri, paranoia pura.

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2 thoughts on “Quella volta che….i semi di pino

  1. drusilladeserto ha detto:

    Bellissimo questo tuo racconto di vita da expat con la tua famiglia. Ti prego scrivine altri!

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